
Gli art director, che a dispetto della qualifica l'unica cosa che hanno il potere di dirigere è il getto della loro pipì e se sono donne manco quello, somigliano un po' ai clown tristi.
In apparenza sempre sorridenti e pronti alla battuta, con le magliette spiritose - nei casi più tragici disegnate e realizzate in prima persona, i Seven Nation Army e i Coldplay tutto il giorno a palla e l'aria da playboy con qualsiasi gnugna under 65 si aggiri in agenzia.
In realtà, ominidi e donnette perennemente chine sui Mac (molte art sono tettone, dato che sono gravitazionalmente avvantaggiate nel mantenere la posizione, oltre che nelle selezioni del personale) a distruggersi i bulbi oculari per cercare immagini, ingrandire loghi e impaginare fregnacce, sotto la frusta di account che ogni mezz'ora richiedono modifiche da due ore, sputando sangue giorni notti e weekend su annunci per cui pregheranno non venga fatto il loro nome nel comunicato stampa.
Questo quando sono junior: una volta senior, oltre a continuare a sprecare l'esistenza smanettando la tavoletta grafica, qualche volta entrano in contatto con fotografi e registi, aumentando il proprio complesso di inferiorità verso chi davvero fa un lavoro creativo senza faticare quasi un cazzo.
Ma la differenza principale con i copywriter è che gli art hanno dieci volte meno tempo per leccare il culo a dc e ad, e questo spiega perché in Italia 8 dc su 10 sono ex copy, a parte quelli che sono in coppia con un copywriter che pietosamente li ha innalzati con sé: di regola, si tratta di copy maschi con art tettone.