22 ottobre 2007

Le domande dei lettori vol. 1

Una lettrice del blog - che dice di non essere gnugna, quindi le rispondo solo in via del tutto eccezionale - mi chiede:

mi dai 3 buoni motivi per cui dovrei tornarmene nella mia città a fare la commessa in periferia anzichè continuare a fare sacrifici e caffè in un'agenzia?
1) Una mia amica fa la commessa in una piccola libreria di Milano. Passa la maggior parte del tempo a leggere libri e a parlare di libri con l'altra commessa e i clienti. Guadagna più di me. Si diverte più di me. E' più rilassata e felice di andare al lavoro di me. Ogni sera mi addormento sperando che la sua collega muoia e lasci libero il posto.

2) Le agenzie pubblicitarie scompariranno presto. Lo stesso identico servizio che fornisce un'agenzia con 80 dipendenti oggi lo può dare una sola persona con un pc. O due, se vogliamo conservare la filosofia della coppia creativa. La sola differenza è che un'agenzia si fa pagare cento volte di più. E i clienti, per quanto ritardati, iniziano a capirlo.

3) L'unico lato positivo di stare in un'agenzia pubblicitaria sono le account fighe. Dato che sei una ragazza, se non hai tendenze lesbo non ti resta dunque nessun motivo per stare in un'agenzia pubblicitaria.

13 ottobre 2007

Capire la pubblicità.



Alla 15esima volta che l'ho visto, esaurito l'effetto emotivo che provoca, ho notato una cosetta: la parete alle spalle del gorilla ha i colori corporate (bianco e viola) della confezione di cioccolato.

Parete che riveste visivamente il gorilla che invece ha il colore del cioccolato.

Il gorilla è con ogni evidenza (la personificazione del)la barretta di cioccolato, piena di gioia e di vitalità.

Tirando le somme, questo spot si regge tutto sulla scelta di art direction più banale e prevedibile che esista (l'uso dei colori corporate della marca), e sulla grande abilità con la quale è stata camuffata per mettere il prodotto al centro del messaggio pubblicitario senza fartene accorgere.

Così, questo spot funziona perchè è stato premeditato e progettato da pubblicitari consapevoli (e non da artisti schizoidi), con il massimo dalla razionalità e il minimo della creatività, e il cliente l'ha approvato perchè un bravo account gli avrà spiegato ciò, e non perchè fosse un cliente particolarmente coraggioso.

Qua è tutta questione di ingegneria, mica di creatività. Riguardatelo con attenzione.

Dice: "Assenza di premeditazione" e "L’idea è stata non avere idee". Maddeche? Certo che è stupefacente come in questo mestiere si possa arrivare a dirigere un'agenzia multinazionale senza capire niente di questo mestiere.

Me ne torno a giocare a lot che è meglio, va...

25 settembre 2007

Come si crea un annuncio pubblicitario

Molti giovani che aspirano a fare questo mestiere, insieme al fumo di sostanze psicotrope nei corridoi di licei accademie e scuole varie, si chiederanno come viene prodotto in pratica un annuncio pubblicitario all'interno di un'agenzia. Bando dunque alle ciance teoriche di cui vi rimpinzano manuali e professori, e ascoltate come funziona realmente questo magico processo che porta a intasare di parole patinate e immagini ritoccate le pagine di riviste e quotidiani.

Come ogni giorno, alle due e venti del pomeriggio, il copywriter jr rientra in agenzia dalla pausa pranzo, insieme al suo inseparabile compare art director jr. E come ogni giorno, alle due e venti del pomeriggio, l'account jr, che non mangia MAI insieme ai creativi e rientra SEMPRE in orario, li sta aspettando entrambi da venti minuti con la sua cartellina in mano.

I tre si trasferiscono allora nella sala riunioni (se è vuota - cioè mai) o alla scrivania di uno dei tre (se la sala riunioni non è già occupata da un altro trio avente grado senior nell'agenzia - cioè sempre). Qui, diligentemente, l'account jr sintetizza il briefing di 128 pagine ai creativi, spiegando nei minimi dettagli le richieste del cliente riguardo l'aspetto dell'annuncio. Nel frattempo, il copywriter jr si tiene occupato sbirciando nella scollatura dell'account jr e l'art director jr facendo schizzi per il suo fumetto online.

Quando l'account jr finisce di parlare e se ne va a limarsi le unghie, di solito non prima di venticinque minuti, nessuno dei due ha ascoltato una sola parola sul lavoro da fare. La tecnica consolidata, a questo punto, prevede che il copywriter jr sbircia nel brief la breve frasetta idiota scritta sotto "main benefit" e la parafrasa in tre secondi netti in un'altra frasetta ancora più breve e idiota (che diventerà l'headline definitiva dell'annuncio).

La passa subito all'art director jr e poi occupa le tre ore successive a giocare a lot (gdr nel quale, grazie a tutto il tempo rubato al lavoro d'agenzia, mi manca poco per diventare vicemaster in una delle gilde più blasonate). Dal canto suo, l'art director jr apre Indesign, sceglie una foto a caso dal database di immagini fornito dal cliente - il quale con astuto senso del risparmio si rifiuta di sganciare grano per i diritti di altre immagini o, peggio, il compenso di fotografi e/o illustratori - e ci appiccica subito l'head con un carattere base tipo helvetica o ms sans serif, passando poi a lavorare sulla nuova tavola del suo fumetto online, anche lui per tre ore.

Quando manca poco alle sei, e un quarto d'ora alla consegna del lavoro, il copywriter jr manda per email all'art jr un paragrafo di testo ricopiato in fretta e furia dalla prima pagina del brief, l'art jr lo incolla sotto la fotografia, ci aggiunge il marchio del prodotto in basso a destra e voilà, l'annuncio vivente è pronto.

A questo punto, in cinque minuti, i due scelgono un'altra fotografia dal database, l'art jr la stravolge con fotoritocchi e filtri improbabili, il copy jr ci aggiunge sul momento una frase oscena e surrealista, il marchio del prodotto viene aggiunto in alto a destra e voilà, l'annuncio fantasma è pronto.

Quest'ultimo viene fatto vedere soltanto alla coppia di copy-art sr e (se non è fuori a puttane) al direttore creativo, che approvano elogiando le capacità creative dei sottoposti - del resto l'annuncio fantasma è stato costruito apposta per quest'unico scopo - mentre il primo finisce diretto nelle mani dell'account jr e quindi del cliente, ambedue soddisfatissimi per la cagata che viene passata subito in stampa, senza richiedere ulteriori sforzi di modifica al duo jr - del resto l'annuncio vivente è stato costruito apposta per quest'unico scopo.

Così, alle sei in punto, dopo l'ennesima massacrante ma appagante giornata di lavoro, il copywriter jr e l'art director jr arrancano verso le rispettive magioni, mentre in basso scorrono i titoli di coda: "Arrivederci alla prossima puntata su come viene realizzato in pratica uno spot radio".



p.s.
Non sono stronzate.
Almeno dove sto io funziona davvero così.
Lo giuro.

3 agosto 2007

La meglio reclame

Se notate, il Blog Italiano del Pubblicitario Standard (BIPS) è un frenetico postare di pezzi di pubblicità - pardon, advertising - cool provenienti dall'estero, elogiati in modo sperticato, e intervallati di tanto in tanto da miserrime reclame nostrane, denigrate in modo esacerbato.

Pratica irritante per almeno due motivi (lamentosa esterofilia a parte): in primo luogo non c'è nulla di più deleterio del pubblicitario che ama la pubblicità, dato che la gente normale ama cose normali come romanzi, film, fumetti, programmi tv, videogiochi, dolci, chirurgia estestica, giardinaggio, bondage, ma non certo spot e annunci stampa, e in secondo luogo perchè nessuno degli autori di questi blog ci mette le proprie di pubblicità, così da avere un'illuminante pietra di paragone con quelle altrui.

Detto questo, per la prima e unica volta nella storia di questo blog anch'io mi conformerò a questa moda imperante, commentando un adv di mio gradimento. Eccolo:

Lasciando perdere l'inutile head (che potevano scriverlo anche un po' più grande, tanto non l'avrebbe cagato lo stesso nessuno col visual sovrastante), io auspico la presa del potere da parte di un governo totalitario che imponga che qualsiasi pubblicità, di qualsiasi prodotto, debba essere fatta tassativamente in questo modo, usando una top model seminuda, pena la deportazione per i trasgressori.

Sarebbe un mondo migliore non solo per chi la guarda, ma anche per chi la fa, così almeno invece di sprecare l'esistenza in un tetro ufficietto, me la godrei transitando da un set fotografico da calendario pirelli all'altro.

Per certi versi è vero che la tendenza dell'adv italiano è già orientata autonomamente in questo senso, senza bisogno di direttive superiori, però si muove troppo lenta, e sono ancora maledettamente troppe le pubblicità che non mostrano gnugne svestite...

29 luglio 2007

99 Francs, 26.900 Lire, 13.89 Euro, ecc...

Alla fine ho letto anch'io questo libro, popolarissimo e amatissimo nell'ambiente perchè l'autore ha fatto ciò che qualunque pubblicitario sogna di fare, ossia mollare questo ingrato mestiere sputtanando colleghi, agenzia, clienti e tutto il circo della pubblicità, facendosi appunto licenziare dalla Young & Rubicam - nella quale io darei un polmone per entrare, se non altro per gli stipendi da 13.000 al mese dei copywriter senior - in seguito alla pubblicazione.

Trovata di lancio formidabile, perchè da un lato richiama la familiare aura da scrittore maudit d'oltralpe che dai tempi di Baudelaire non è mai passata di moda, e dall'altro conta proprio sulla stupidità dei milioni di lettori ancora disposti a bersela.

Che razza di coraggio ci vuole, infatti, a smettere di fare il pubblicitario con 2 milioni di euro sul conto in banca (vedi pag. 92)? Piuttosto, bisognerebbe avere una grave malattia mentale per continuare a farlo...

Inoltre l'autore non considera che la pubblicità "creativa" inquina l'universo tanto quanto quella "mediocre" (sempre che si possa stabilire una netta linea di confine fra le due), per il semplice fatto che sempre di pubblicità si tratta, appunto... e questo romanzo cos'è, paradossalmente e volutamente, se non un gigantesco spottone del mestiere di copywriter? Riuscito in maniera perfetta, del resto, dato che come ho detto 99 Francs è apprezzato - e soprattutto comprato* - da tutti.

Più che le sue ammuffite riflessioni alla Adorno/Horkheimer/Marcuse/Debord (ebbene sì, anche se non sembra qualcosa ho studiato), forse sarebbe più onesto ammettere che la pubblicità è la forma base di qualunque comunicazione umana, visto che ogni volta che apriamo bocca cerchiamo di vendere qualcosa - un'idea, un prodotto, una persona,... - a qualcuno in cambio di qualcos'altro - adesione, soldi, sesso, potere,...

Perciò è inutile scagliarsi contro la pubblicità, allora tanto varrebbe bruciare la Divina Commedia perchè non è altro che un interminabile e anche un po' noioso copy ad del Cristianesimo, e alla fine quando si è distrutto tutto, libri quadri film tv giornali internet umanità eccetera, tornare a rinchiudersi nelle caverne come scimmioni che non hanno ancora toccato il pietrone nero di 2001: Odissea nello spazio.

Comunque, al di là della scopiazzatura malriuscita di Bret Easton Ellis (cosa per cui l'autore ha la mia solidarietà, come tutti gli scopiazzatori), mi piace come ha camuffato i nomi, anche se per la fantomatica produttrice di yogurt "Madone" poteva anche ricordare il claim "Mad-mad-mad... Madone!", oltre a quello "Mmm... Madone" che cita... ma forse in Francia non si usa.

p.s. questo blog è aggiornato poco e malamente per le seguenti ragioni:

- tanto non lo legge nessuno;

- non sono pagato per scriverlo;

- mi stanno sulle palle i blog aggiornati quotidianamente;

- sono uno scansafatiche.

*io l'ho preso in biblioteca, dato che al contrario di Beigbeder non guadagno abbastanza da permettermi il lusso di acquistare libri.

27 giugno 2007

Commenti sagaci al blog dell'adci vol. 1

Dato che come dice il buon Barbella il pubblicitario è prima di tutto un riciclatore, per questo post riciclo un commento che ho appena postato sul blog dei sapientoni (se cliccando su "commento" non appare, significa che l'hanno cancellato... poco male, tanto potete leggerlo qua di seguito):

in teoria la pubblicità è fatta di idee e il lavoro di chi la fa è trovare idee. ne deriva che, se uno le idee non le trova più o non le ha mai trovate, dovrebbe dedicarsi ad altro lasciando spazio a chi invece le idee ce le ha: ne guadagnerebbero tutti, fuorchè appunto chi pensa solo a conservare la propria poltrona.

in pratica invece il sistema è lo stesso delle baronie universitarie e per vedere i risultati basta girare per strada, aprire un giornale o accendere la tv.

così, a pensare di dedicarsi ad altro, sono i copy e gli art che si fanno il mazzo per 700 euro al mese e tutti i giorni devono bersi le idiozie di senior e direttori creativi che credono che il mondo sia rimasto fermo al 1981 e li costringono a fare lavori inguardabili. dopo un po’ mollano e dirottano su un call center, dove si guadagna di più e ci si risparmia il mal di fegato.

e così la pubblicità rimane quello che è.

“fra un po’ qualcuno rischia di perdere la poltrona”?
ma magari! sarebbe la più grande rivoluzione creativa mai vista in italia dai tempi del rinascimento!


Update: me l'han proprio cancellato! Da non credere la chiusura mentale di queste cariatidi nei confronti delle giovani menti! Neanche gli avessi dato degli stronzi! Beh, lo faccio adesso a chi mi ha cancellato il commento.

17 giugno 2007

Trovarsi un altro mestiere?

Prima o poi, chiunque faccia il copywriter pensa di cambiare lavoro. Non solo perchè viene pagato una miseria rispetto a un aiuto commesso di un minimarket di periferia, ha scarse prospettive di carriera e ampie di venir cacciato, è costretto a passare tutto il giorno e talvolta anche la sera e i weekend in un ambiente in cui disprezzare il ruolo dell'altro è la regola (ad esempio, uno dei più grandi misteri irrisolti dell'adv è a che cazzo servano i planner, a parte decorare la sala riunioni se sono belle puledre) però bisogna sempre fingere il massimo affiatamento, la sua scrivania - quando ce l'ha - è la più piccola e scomoda dell'ufficio più piccolo e scomodo dell'agenzia, ma soprattutto per un motivo squisitamente esistenziale: che senso ha passare la vita a scrivere stronzate per far vendere prodotti di merda?

Il suo secondo pensiero, a questo punto, sarà quello di cercare di guadagnarsi da vivere in campi dove la scrittura è più nobilitata. Si troverà però di fronte ad un ostacolo insormontabile, e cioè che per fare il romanziere, il giornalista o lo sceneggiatore bisogna scrivere almeno 10 se non 100 volte di più di un copy, che avendo già seri problemi a completare una brochure a due ante con cinque righe di testo per anta, lascerà perdere ancor prima di iniziare. Stesso discorso per quanto riguarda l'editor: la mole di scrittura è più limitata, però bisogna leggersi interi libri per poterne ricavare i riassuntini e le biografie per il risvolto o la quarta di copertina, cosa che di fatto lo rende un altro lavoro fuori dalla sua portata.

Rimangono solamente il poeta o il graffittaro, ma nessuno riesce a campare con queste attività. Ecco che dunque si prospetta l'alternativa di trovarsi un vero lavoro al di fuori del campo della scrittura, dove vengono di norma richieste competenze precise, impegno costante e risultati tangibili. Concetti che bastano a portare la mente di un copywriter sull'orlo della follia, e a tenersi il suo misero impiego a denti stretti.

Ecco spiegato perchè molti cambiano lavoro per diventare copy, ma nessun copy cambia lavoro per diventare qualcun altro.

10 giugno 2007

Pubblicità inversa

Fondamentalmente questo blog è un piccolo esperimento di pubblicità inversa sulla figura del copywriter e l'advertising nel suo complesso. Lo porto avanti perchè a me piacerebbe scrivere soltanto pubblicità inversa, ma dato che ovviamente nel lavoro non mi sarà mai permesso di scriverne nemmeno una parola, l'unico spazio in cui posso farlo è questo.

Il tratto peculiare della pubblicità inversa è che non funziona, e per questo nessuno la fa. Nessuna bibita ha e avrà mai come claim "Un intruglio schifoso che fa male alla salute e al portafoglio". Al limite i pubblicitari fanno quel giochetto che si chiama trasformare un minus in un plus, come in "Il rhum più bevuto nei peggiori bar di Caracas", per citare un noto esempio. Però questa è pubblicità che funziona e fa vendere alla grande, mentre io vorrei proprio fare pubblicità che non funziona, consapevolmente e programmaticamente votata all'insuccesso, a danneggiare le vendite anzichè ad aumentarle, nel migliore dei casi a far chiudere bottega al cliente gettandolo sul lastrico.

Una tecnica che sto raffinando, per avvicinarmi a questa meta ideale, è quella di scrivere volontariamente messaggi pubblicitari loffi, che diano l'impressione di essere abbastanza efficaci (e siccome il cliente vive sempre e solo in superficie, a lui così appaiono e perciò vengono di regola approvati), mentre in profondità lavorano per distruggere il prodotto, creando nella mente del consumatore un irrimediabile senso di avversione per la marca. Cosa che, senza rendersene conto, fanno 9 pubblicitari su 10, ma loro giusto perchè sono del tutto incompetenti nel loro mestiere, mentre io agisco così di mia e precisa volontà.

Peccato solo non poter postare e commentare qualche esempio, altrimenti verrei licenziato e non potrei più perseguire il mio diabolico piano...

9 giugno 2007

Perchè accade che un giovane decida di fare il copywriter (o il pubblicitario in genere)

Il rapporto tra pubblicitari e consumatori è essenzialmente di tipo sadomasochistico, in misura molto maggiore di quanto lo sia quello tra produttori e consumatori: io pubblicitario godo nel convincerti non solo a comprare e ad usare, ma anche a desiderare un prodotto che in realtà non ti serve a migliorare la tua vita sotto nessun aspetto, e di regola è più costoso di prodotti di qualità identica o perfino superiore, e quindi in sintesi a farti del male, mentre tu consumatore godi nel lasciarti convincere che queste stronzate di cui ti circondi continuamente siano ciò che desideri per essere felice, mentre nel profondo sai che l'unico vero piacere che provi è quello di essere inculato da questa illusione e soffrirne a ogni nuovo acquisto che fai.

Ne deriva che, in sostanza, la motivazione che spinge un giovane a diventare copywriter (o art director, account, planner,... insomma, a lavorare in pubblicità) è la sua natura intimamente crudele, che può arrivare anche a sfiorare la mostruosità disumana.

In questo senso, il più grande e inimitabile pubblicitario della storia è stato senza dubbio Adolf Hitler. Creando una campagna di comunicazione perfetta per le sue idee deliranti, attraverso claim geniali come La razza umana è diventata forte nella lotta perpetua, e non potrà che perire in una perpetua pace, un logo incredibilmente efficace (la svastica), circondandosi di collaboratori di valore come Albert Speer e Leni Riefenstahl per orchestrare eventi e film di fortissimo impatto, è riuscito a vendere la sua visione aberrante a milioni di persone, che l'hanno seguita fino alla distruzione.

Certo, non è stato il primo e purtroppo neanche l'ultimo dei dittatori, però nessuno come lui ha compreso e messo in pratica con tanto successo il fondamentale meccanismo sadomasochistico della comunicazione pubblicitaria. Probabilmente, in questo campo, l'unico ruolo in cui è stato carente è quello di illustratore.

Perciò credetemi, l'unica cosa che salva il mondo è che i pubblicitari hanno pochissimo potere (un tempo almeno avevano i soldi, ora neanche più quelli) e al massimo possono esprimere la loro malvagità nello spingervi a comprare scarpe con la suola che poi si stacca e pannolini che fanno gocciolare fuori la pipì, perchè se fosse altrimenti...

5 giugno 2007

Scrivere un curriculum vincente

Per prima cosa evitate di curare da voi l'impaginazione grafica, altrimenti il risultato sarà penoso (vedi questo blog, ad esempio). Piuttosto, fregate quella del cv di un vostro amico art o, se non avete amici, cercatene una ben fatta con google. Io ci avevo messo solo dieci minuti a trovarne una perfetta nel sito di un ingegnere di Treviso.

Vediamo quindi le varie voci:

Dati personali - dichiarate di avere almeno due anni in meno della vostra reale età. Se per qualche motivo dovessero scoprirvi, potete sempre dire che vi siete dimenticati di aggiornarlo. Io penso che almeno fino a 28 anni sul cv lascerò 24, vista la bizzarra quanto radicata credenza che la creatività vada a braccetto con la giovinezza.

Obiettivi - è meglio se scrivete che volete fare il copywriter, anzichè le vostre reali ambizioni professionali come diventare sommelier o regista di film porno.

Studi - sia il diploma che la laurea li avete presi con voti bassissimi, e la seconda pure fuoricorso. Non c'è problema, lasciate perdere la votazione del diploma e poi mettete "laureato brillantemente in..." anche qui senza inutili numeri, specificando solo quando l'uni l'avete finita ma non iniziata. Aggiungete che avete sostenuto svariati esami in materie come "tecniche pubblicitarie", "analisi semiotica della pubblicità", "principi di marketing" ecc..., anche se nella realtà avete studiato solo stronzate come filologia romanza e storiografia medievale.

Esperienze lavorative - questa è la sezione in cui bisogna veramente dimostrare di saper destreggiarsi con le parole. Aver fatto il cameriere nel bar sotto casa diventa qui "Team Manager" e aver dato ripetizioni di latino a sbarbatelli del liceo "Former Manager", e così via per qualsiasi altro infimo lavoretto, l'importante è tradurlo in inglese come management di qualcosa. L'essenziale comunque è dar l'idea che siate capaci di scribacchiare e vi piaccia pure, perciò non dimenticate di millantare collaborazione con testate giornalistiche inesistenti, di aver sceneggiato una decina di cortometraggi premiati a festival di nicchia e di aver vinto qualche concorso letterario internazionale di poesia concettuale.

Lingue conosciute - ovviamente inglese ottimo parlato e scritto, meglio se corroborato da un fantomatico certificato conseguito durante una vacanza studio mai fatta in Australia. Non importa se in verità non sapete neanche tradurre "just do it", tanto nella pratica d'agenzia per l'inglese si affidano tutti, dal direttore in giù, al lavacessi pakistano che parla dieci lingue. Spacciate poi una conoscenza buona di francese, spagnolo e tedesco (che non vi serviranno mai a un tubo) e, tocco di classe, vantatevi che state studiando il cinese, dimostrandolo con uno scarabocchio che dovrebbe rappresentare il vostro nome e invece è appunto solo uno scarabocchio.

Competenze informatiche - sparate eccellenti skills in qualsiasi programma vi venga in mente, specialmente se non sapete nemmeno come impostare il correttore ortografico di word, e anche qui non preoccupatevi che la vostra ignavia venga scoperta, ché per fare il copy basta e avanza il blocco note.

Interessi - segnalare quelli reali come film blockbuster, fumetti e videogames va bene, però dovreste aggiungere anche frottole come l'amore per i romanzieri francesi dell'800, il cinema espressionista tedesco e la musica di Mahler e Rachmaninov. Inoltre non fate l'errore di snobbare gli sport o peggio esibire la vostra miserrima passione per la partita di calcetto del venerdì con gli amici: la vostra assunzione dipenderà per il 90% che dal cv risultiate cintura nera di karate, esperto di pesca d'altura o di qualche altra boiata che possa far colpo sul creativo senior che vi esaminerà.

Infine allegate un portfolio plagiato come descritto nel post precedente e avrete il curriculum perfetto per un aspirante copywriter. Se siete molto ambiziosi e sicuri di voi, potete completarlo vomitandoci sopra e poi dire al selezionatore che ci avete aggiunto la vostra vera linfa creativa: se non chiama la sicurezza entro cinque minuti, per voi un posto da CEO è assicurato.

4 giugno 2007

Elogio della crisi creativa

Una delle tre frasi più ricorrenti nel magico mondo della pubblicità (escluse quelle contenenti bestemmie) è che oggi in Italia c'è una profonda crisi creativa. Le altre due sono all'estero sì che c'è spazio per la creatività e fra un po' arrivano i cinesi che ci fanno il culo. Probabilmente l'unica soluzione definitiva a tutte e tre le questioni è iniziare a scrivere slogan con gli ideogrammi, ma nessuno sa farlo quindi non rimane che continuare a lamentarsi.

In realtà, il vero problema è che la miopia dei cosiddetti creativi impedisce loro di cogliere gli immensi vantaggi di questa crisi, e di sperare anzi che continui a peggiorare sempre più.

In primo luogo, se il livello medio dell'adv è così basso come si dice, non bisogna sbattersi più di tanto per partorire un testo o una grafica che sembrino decenti anche se non lo sono; viceversa, se fossimo circondati da annunci e spot creativamente geniali, tutti noi copy e art di scarso talento avremmo ancor più difficoltà a trovar lavoro - in pratica non basterebbe adattarsi agli stage sottopagati, saremmo noi a dover dare il rimborso spese e i buoni benza all'agenzia.

Inoltre, l'esperienza di trovare un'idea bella e originale e di essere così incauti da proporla è forse la più traumatica che possa capitare a un copywriter junior: i senior ti accuseranno di averla copiata da un manifesto americano degli anni '60 (la stessa fonte da cui prendono tutte le loro di idee), il cliente la boccerà sdegnato perchè la ritiene troppo avanti per il suo target di lobotomizzati, gli account si incazzeranno perchè hai deluso il cliente, il direttore creativo si incazzerà perchè hai deluso gli account e via dicendo. Credetemi, io ci sono passato e vivo nel terrore di ripetere lo stesso sbaglio, sebbene per fortuna abbia imparato come evitare questa trappola.

Il metodo più sicuro è quello di usare le stesse parole riportate nel brief con minime variazioni, ad esempio se tu copy jr. nel brief ci trovi scritto vogliamo trasmettere l'idea che i nostri biscottini siano una colazione sana ed energetica per ogni bambino, il miglior slogan che puoi proporre risulta essere I nostri biscottini, una colazione sana ed energetica per ogni bambino: i senior ti guarderanno con finta approvazione o vero compatimento (ma avrai evitato il pericolo mortale di essere considerato una minaccia per la loro poltroncina), il cliente gongolerà di soddisfazione per aver risposto così perfettamente alle sue esigenze (data la sua stupidità, è impossibile che si accorga che il lavoro l'ha fatto tutto lui e dunque i soldi pagati all'agenzia sono buttati nel cesso), gli account saranno felici che hai soddisfatto il cliente, il direttore sarà soddisfatto che hai reso felici gli account e via dicendo.

Applicando con costanza questo sistema, il risultato sarà che passerai le tue giornate sereno e riposato, trascorrendo la maggior parte del tempo nascosto dietro il tuo monitor a cazzeggiare su messenger o a giocare a lot, senza l'assillo di dover riscrivere le cose diecimila volte e di suscitare invidie e sospetti tra i colleghi.

A questo punto ti chiederai: ok, ma poi nel portfolio che cosa ci metto se scrivo solo boiate? Semplice, basta che lo riempi di finti lavori copiati da manifesti americani degli anni '60. Come fanno tutti, insomma.

3 giugno 2007

School of Copy

Con il solo, bieco e dichiarato intento di dirottare visitatori su questo blog in fasce, mi lego a un quesito posto su quello dei demiurghi dell'adv, cioè: quali sono i criteri con cui scegliere un corso di comunicazione? Per non sbracare nelle solite generalizzazioni, riformulo la domanda relativamente al mio campo: qual'è il percorso di studi ideale per un aspirante copywriter?

Risposta: le scuole medie.

Purtroppo io me ne sono reso conto solo troppo tardi, ma le medie (se frequentate in un istituto di livello medio-buono) forniscono tutto il bagaglio di competenze teoriche e tecniche di cui necessita un copy, ovvero della padronanza basic delle regole grammaticali e sintattiche della lingua italiana. Anzi, alle medie ti insegnano anche particolari superflui come la coniugazione del trapassato del congiuntivo, che nessun copywriter userà mai nella sua vita personale e professionale.

Questo indiscutibile dato di fatto, che si applica anche nel caso del copywriting specialistico come quello medico o finanziario (per cui basta saper riassumere i testi dei brief, altra abilità che impari grazie al sussidiario delle medie), è confermato dal senso comune: trovatemi una persona sana di mente che pensi davvero che per partorire frasette come "Dove c'è Barilla c'è casa" o "Una telefonata allunga la vita" ci sia bisogno di un diploma, di una o più lauree e magari anche di un master. L'istruzione superiore serve soltanto a saper usare la parola "demiurgo" in senso ironico in un blog, mentre nella pubblicità si farebbe ricorso ad espressioni più accessibili - anche dai ragazzini, appunto - come "sapientone" o "capoccione".

Del resto, se avessi iniziato a fare il copy a 14 anni, a quest'ora forte di un'esperienza pluridecennale sarei già direttore creativo, anzichè assistente dell'aiuto del sottoposto del copy senior. Questo naturalmente in un mondo ideale, perchè in quello reale il sistema funziona che devi sborsare migliaia di euro per frequentare una scuola di comunicazione all'unico scopo di ottenere gli agganci per entrare in agenzia (come stagista sotto o più spesso nullapagato), senza che ti venga insegnato nulla al di là del modo migliore per farsi raccomandare, e non di rado capita che qualcuno non impari neanche questo e poi rimanga lo stesso a piedi.

Saltando questo passaggio, puoi sperare comunque di entrare come copywriter in un'agenzia, però esclusivamente con le mansioni di un fattorino, senza lo stipendio di un fattorino e senza nemmeno la speranza di venir assunto come fattorino, perchè quando ti sarai rotto e te ne andrai ci saranno altri cento copy che sognano di consegnare pacchi gratis al posto tuo.

Col pezzo di carta della scuola di comunicazione, invece, avrai la fortuna di non dover fare lavori pesanti ma soltanto le fotocopie e il caffè per i superiori, ritirare la posta - giusto le lettere, però, i pacchi lasciali a quello che non ha il diplomino dell'Accademia o dello Ied - e rispondere al telefono quando la segretaria è in bagno (cioè sempre), data la maggiore aura di rispetto che ti circonderà.

Così, se non altro, ti risparmierai l'ernia.

Come accade che un giovane decida di fare il copywriter.

Siamo in settembre e in un'uggiosa giornata di questo uggioso mese mi capita di laurearmi, ovviamente fuoricorso, dopo averci impiegato un intero anno per scrivere una tesi così noiosa che il mio relatore se la terrà ancora sul comodino al posto del Mellodyn.

Così il giorno dopo mi tocca pormi il classico e angoscioso interrogativo che tutti i neolaureati troppo pigri e/o inetti per averlo fatto prima si trovano a fronteggiare: "E ora che cazzo faccio?"

Al che, mentre elencavo mentalmente tutti i mestieri di mia conoscenza, senza trovarne alcuno che non fosse sommamente faticoso sgradevole e mortificante, chissà perchè e chissà percome mi balza in mente una commediola con Massimo Boldi vista e rivista un sacco di volte in tv, Mia moglie è una bestia, celebre per il sublime incipit in cui un Boldi cavernicolo avverte i suoi amici cavernicoli della presenza di un gruppo di gnugne cavernicole urlando di continuo "Cafi cafi cafi cafi cafi cafi" (lo scopo della mia vita è riuscire a farmi passare questa gag come headline per una pubblicità progresso sulle pari opportunità, ad esempio per le quote rosa: Più cafi in parlamento).

La Vera Illuminazione però la trovai nel ricordare la scena in cui il Boldi degli anni '80, che lavora in un'agenzia pubblicitaria milanese, di fronte al suo capo che gli chiede lo slogan per un'acqua minerale, tira fuori un foglietto di carta, presenta il suo lavoro come frutto di grande sforzo e genio creativo e infine annuncia: "Acqua minerale Taldeitali... Bella fresca!!!".

Voglio fare il lavoro di Boldi in questo film, mi dissi allora, questa cosa di scrivere la pubblicità sembra proprio un giochetto divertente, per nulla faticoso sgradevole e mortificante... sì, ho deciso, farò lo scrittore di pubblicità! (qui ci vorrebbe un link al file sonoro del tipico CRACK di un fulmine che suggella drammaturgicamente le Grandi Scelte, ma non ho voglia di mettermi a cercarlo perciò accontentatevi di immaginare).

Scrittore di pubblicità, proprio così, perchè allora - e parlo di otto mesi fa - non sapevo nemmeno che questa figura si chiamasse copywriter, anzi a dirla tutta ero convinto che il copywriting fosse qualcosa legato al copyright (credo per l'assonanza fra i due termini), e il copywriter una specie di giurista nel campo del diritto d'autore o simili, ed essendo pigro e inetto non avevo mai sentito la necessità di sanare questa ignoranza, senza aver nemmeno la scusante di essermi laureato che so in Ingegneria spaziale o Biologia molecolare, bensì indovinate un po'... già, proprio in Lettere.

Ad ogni modo, appurato finalmente il nome del lavoro che avevo deciso di fare, iniziai dunque a cercarlo... ma questa è un'altra storia.