10 febbraio 2009

La direzione dell'arte.

Quando sono in procinto di suicidarmi con un cocktail di Jack Daniel's e Mastro Lindo e/o di iscrivermi alla scuola per spazzacamini, pur di non dover più intossicare la gente con panzane e truffe verbali tipo "Un diamante è per sempre" (e se ti cade nel cesso?), penso a quanto tutto sommato sia più misera e debilitante la vita dell'art director rispetto a quella del copywriter.

Gli art director, che a dispetto della qualifica l'unica cosa che hanno il potere di dirigere è il getto della loro pipì e se sono donne manco quello, somigliano un po' ai clown tristi.

In apparenza sempre sorridenti e pronti alla battuta, con le magliette spiritose - nei casi più tragici disegnate e realizzate in prima persona, i Seven Nation Army e i Coldplay tutto il giorno a palla e l'aria da playboy con qualsiasi gnugna under 65 si aggiri in agenzia.

In realtà, ominidi e donnette perennemente chine sui Mac (molte art sono tettone, dato che sono gravitazionalmente avvantaggiate nel mantenere la posizione, oltre che nelle selezioni del personale) a distruggersi i bulbi oculari per cercare immagini, ingrandire loghi e impaginare fregnacce, sotto la frusta di account che ogni mezz'ora richiedono modifiche da due ore, sputando sangue giorni notti e weekend su annunci per cui pregheranno non venga fatto il loro nome nel comunicato stampa.

Questo quando sono junior: una volta senior, oltre a continuare a sprecare l'esistenza smanettando la tavoletta grafica, qualche volta entrano in contatto con fotografi e registi, aumentando il proprio complesso di inferiorità verso chi davvero fa un lavoro creativo senza faticare quasi un cazzo.

Ma la differenza principale con i copywriter è che gli art hanno dieci volte meno tempo per leccare il culo a dc e ad, e questo spiega perché in Italia 8 dc su 10 sono ex copy, a parte quelli che sono in coppia con un copywriter che pietosamente li ha innalzati con sé: di regola, si tratta di copy maschi con art tettone.

5 febbraio 2009

Into the wild.

Nello smerigliato mondo della pubblicità le carriere funzionano così: 1) sequestri il figlio di un dc chiedendo come riscatto uno stage non retribuito nella sua agenzia; 2) una volta dentro, combini cazzate a ripetizione addossando sempre la responsabilità ai potenziali rivali per uno straccio di contratto a progetto; 3) ripeti l'operazione fino ad arrivare, dopo 15/20 anni di umiliazioni e stipendi da fame buttati in costose quanto inutili cure psicologiche, alla direzione creativa.

Un momento particolare nella vita di un pubblicitario è quando devi cambiare agenzia. Ciò si verifica nei seguenti casi: 1) per distrazione, hai commesso l'errore di addossare una tua cazzata a un creativo che è già stato licenziato, in maternità, in galera o morto suicida da mesi, facendoti clamorosamente scoprire; 2) hai osato non ridere alla trentesima battuta idiota quotidiana del dc esecutivo; 3) la tua agenzia è talmente in bancarotta che subaffitta i propri locali ai congressi dell'Udeur e, già che c'è, chiede ai partecipanti idee e layout per le gare senza rimborso.

Ecco quindi le operazioni che vengono messe in atto per trovare un nuovo posto:

1) aggiorni il portfolio sostituendo le campagne copiate dalle annate 1991/92 di Archive con quelle più innovative, per l'Italia, pubblicate sui numeri usciti nel 1998/99.

2) supplichi in ginocchio qualsiasi dc e creativo più senior di te di darti uno straccio di raccomandazione, arrivando a millantare di avere sul groppone un padre paralitico, una madre leucemica, un fratello tossico e quattro nonni chiusi nel polmone d'acciaio.

3) scrivi/telefoni/aggiungi come amico su facebook tutti i dc che trovi, cercando senza ritegno la loro protezione con affermazioni agghiaccianti tipo: "Secondo me il tuo ultimo film dovrebbe vincere il Grand Prix a Cannes, altro che quelle minchiate della Fallon."

4) nel caso nessuna delle tre funzioni, cerchi lavoro in un campo limitrofo e nel giro di breve tempo diventi un fotografo di grido, un pittore quotato, un regista di successo, un affermato giornalista o un romanziere pluripremiato.

Ma, grazie all'efficacia del sistema di spintarelle, pochissimi arrivano a valutare la quarta ipotesi. E questo spiega perché la fotografia, l'arte, il cinema, il giornalismo e la letteratura in Italia facciano cagare.